Il punto di
partenza della Comunità Terapeutica è semplice e innovativo nello stesso tempo:
la trasformazione del rapporto tradizionale medico-paziente. Nelle riunioni
quotidiane fra tutto il personale sanitario e i ricoverati vige il principio
della piena libertà di comunicazione: si cerca di mettere in crisi il
tradizionale rapporto di autorità - gerarchico e adialettico - e di analizzare
tutto ciò che accade nella comunità in termini di dinamica individuale e
interpersonale. Il contributo di tutti; l’équipe curante e i pazienti, deve
essere impiegato in maniera terapeutica per favorire il riapprendimento di
adeguati ruoli sociali delle persone ricoverate, soprattutto in riferimento
alla capacità di entrare in rapporto con gli altri e stabilire proficui scambi
sociali.
“La comunità
terapeutica si presenta come una comunità e non un agglomerato di malati. Come
una comunità organizzata in modo da consentire il movimento di dinamiche
interpersonali fra i gruppi che la costituiscono e che presenta le
caratteristiche di qualsiasi altra comunità di uomini liberi”: queste parole di
Franco Basaglia (Che cos’è la psichiatria) giungono dopo i primi anni di
trasformazione istituzionale a Gorizia e rivelano subito come la sua attenzione
sia fondamentalmente centrata su un “assunto di base”: il nuovo modo di
lavorare in psichiatria non può che essere un confronto tra uomini liberi.
Ma di quale
libertà parla Basaglia? Della libertà dalle catene e dalle contenzioni fisiche (...)?
Parla forse della libertà generosamente elargita da una nuova figura
di medico, paterno e illuminato, che si sforza di accudire meglio i suoi figli sfortunati? Parla ancora il
linguaggio del mito, il mito della psichiatria che riforma se stessa e salva la
sua anima?
Basaglia
sembra già un passo avanti, ultimo arrivato nella “comunità dei costruttori di
comunità” si mette subito alla ricerca della tana segreta dove si annida la serpe
istituzionale e non fatica a trovarla: “Il
concetto di comunità terapeutica, è evidente, va mano a mano
ammorbidendosi, perdendo quella che era la sua iniziale carica eversiva, per
declinarsi in una semplice nuova modalità di organizzazione dell’assistenza
psichiatrica, dove l’elemento difensivo da parte degli organizzatori ha ancora
un gioco determinante” (Riunione franco-italiana di Courchevel).
La tana è
scoperta, la serpe viva e pericolosa: è il riemergere della “autorità latente”,
che mette fuori la testa quando i limiti stanno per essere superati e l’intera
organizzazione rischia di affondare. L’équipe medica deve riprendere il
controllo, “l’ideologia comunitaria deve - in caso di necessità - cedere
all’ideologia organizzativa” (idibem).
Ecco perché
non basta illuminare le stanze buie dell’ospedale psichiatrico col sorriso di
una comunicazione aperta e senza riserve, perché non sono luoghi per stabilire
incontri fra anime belle: “è dunque facile farsi un’immagine falsa della
comunità terapeutica come di un mondo ideale dove tutti sono buoni, dove i
rapporti sono improntati al più profondo umanitarismo, dove il lavoro risulti
altamente gratificante” (Che cos’è la psichiatria?).
La comunità
terapeutica per Basaglia deve essere soprattutto l’impegno quotidiano per
negare questo mondo ideale: nella comunità esplodono le contraddizioni,
le dinamiche si fanno ogni giorno più complesse, non c’è più spazio protetto o
divisione da mantenere, l’azione terapeutica deve rompere e trasformare tutto,
“la contestazione si può muovere solo in un clima di libertà e la libertà ha i
suoi rischi” (idibem).
Tratto da: Mario Colucci,
Peppe Dell’Acqua, Roberto Mezzina, La comunità possibile,(1989)
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