lunedì 12 maggio 2014

La comunità terapeutica secondo Basaglia



Il punto di partenza della Comunità Terapeutica è semplice e innovativo nello stesso tempo: la trasformazione del rapporto tradizionale medico-paziente. Nelle riunioni quotidiane fra tutto il personale sanitario e i ricoverati vige il principio della piena libertà di comunicazione: si cerca di mettere in crisi il tradizionale rapporto di autorità - gerarchico e adialettico - e di analizzare tutto ciò che accade nella comunità in termini di dinamica individuale e interpersonale. Il contributo di tutti; l’équipe curante e i pazienti, deve essere impiegato in maniera terapeutica per favorire il riapprendimento di adeguati ruoli sociali delle persone ricoverate, soprattutto in riferimento alla capacità di entrare in rapporto con gli altri e stabilire proficui scambi sociali.
“La comunità terapeutica si presenta come una comunità e non un agglomerato di malati. Come una comunità organizzata in modo da consentire il movimento di dinamiche interpersonali fra i gruppi che la costituiscono e che presenta le caratteristiche di qualsiasi altra comunità di uomini liberi”: queste parole di Franco Basaglia (Che cos’è la psichiatria) giungono dopo i primi anni di trasformazione istituzionale a Gorizia e rivelano subito come la sua attenzione sia fondamentalmente centrata su un “assunto di base”: il nuovo modo di lavorare in psichiatria non può che essere un confronto tra uomini liberi.
Ma di quale libertà parla Basaglia? Della libertà dalle catene e dalle contenzioni fisiche (...)?
Parla forse della libertà generosamente elargita da una nuova figura di medico, paterno e illuminato, che si sforza di accudire meglio i suoi figli  sfortunati? Parla ancora il linguaggio del mito, il mito della psichiatria che riforma se stessa e salva la sua anima?
Basaglia sembra già un passo avanti, ultimo arrivato nella “comunità dei costruttori di comunità” si mette subito alla ricerca della tana segreta dove si annida la serpe istituzionale e non fatica a trovarla: “Il  concetto di comunità terapeutica, è evidente, va mano a mano ammorbidendosi, perdendo quella che era la sua iniziale carica eversiva, per declinarsi in una semplice nuova modalità di organizzazione dell’assistenza psichiatrica, dove l’elemento difensivo da parte degli organizzatori ha ancora un gioco determinante” (Riunione franco-italiana di Courchevel).
La tana è scoperta, la serpe viva e pericolosa: è il riemergere della “autorità latente”, che mette fuori la testa quando i limiti stanno per essere superati e l’intera organizzazione rischia di affondare. L’équipe medica deve riprendere il controllo, “l’ideologia comunitaria deve - in caso di necessità - cedere all’ideologia organizzativa”  (idibem).
Ecco perché non basta illuminare le stanze buie dell’ospedale psichiatrico col sorriso di una comunicazione aperta e senza riserve, perché non sono luoghi per stabilire incontri fra anime belle: “è dunque facile farsi un’immagine falsa della comunità terapeutica come di un mondo ideale dove tutti sono buoni, dove i rapporti sono improntati al più profondo umanitarismo, dove il lavoro risulti altamente gratificante” (Che cos’è la psichiatria?).
La comunità terapeutica per Basaglia deve essere soprattutto l’impegno quotidiano per negare questo mondo ideale: nella comunità esplodono le contraddizioni, le dinamiche si fanno ogni giorno più complesse, non c’è più spazio protetto o divisione da mantenere, l’azione terapeutica deve rompere e trasformare tutto, “la contestazione si può muovere solo in un clima di libertà e la libertà ha i suoi rischi” (idibem).


Tratto da:  Mario Colucci, Peppe Dell’Acqua, Roberto Mezzina, La comunità possibile,(1989)







 

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