Per lungo tempo si è creduto che i 'deliri' potessero essere contrastati con le crisi compulsive; ed ecco accanto all'elettroshock una terapia più 'naturale': l'iniezione della malaria...
Buona lettura!
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| Julius Wagner-Jauregg 1857-1940 |
Già
Ippocrate, nel IV secolo a. C., rileva la favorevole influenza delle
occasionali malattie febbrili intercorrenti sull'evoluzione delle
malattie mentali e ritiene che l'azione benefica della febbre sia uno
dei grandi mezzi di guarigione impiegati spontaneamente dalla natura.
Tale opinione è stata condivisa da una interminabile schiera di medici
dall'epoca ippocratica al secolo scorso, finché Nasse nel 1868 segnala
per primo che la febbre malarica, come mezzo terapeutico per curare la
cosiddetta "demenza paralitica progressiva" è da preferirsi a ogni
altra malattia febbrile trasmissibile. Stimolato da queste acquisizioni,
lo psichiatra austriaco Wagner von Juaregg nel 1887 inizia con
scrupoloso metodo scientifico ad indurre uno stato febbrile in pazienti
affetti da sifilide cerebrale terziaria, inoculando germi
dell'erisipela, tubercolina, vaccini vari ed altro senza ottenere
risultati soddisfacenti. Finalmente nel 1917, provando l'inoculazione
della malaria terzana benigna (da plasmodium vivax, protozoo trasmesso
dalla zanzara anofele), riesce ad ottenere dei risultati decisamente
positivi. Wagner von Juaregg, avendo osservato come la malaria terzana
benigna possa rappresentare un mezzo terapeutico rapido e poco
pericoloso, in base ai risultati favorevoli ottenuti (guarigioni
complete e durature), continuò con tenacia la sperimentazione specifica
e, trattando oltre duemila casi, riuscì a dare un impulso formidabile a
questo tipo di terapia, che in pochi anni si diffuse in tutto il mondo
tanto da fargli conferire nel 1927 il premio Nobel. Questa terapia dal
1944 in poi è caduta progressivamente in disuso per l'avvento della
penicillina, che si è subito mostrata particolarmente efficace contro il
treponema pallido, l'agente specifico della sifilide. Tuttavia in casi
resistenti l'iperpiressia, però indotta con sulfoidol o con particolari
vaccini, si è continuata a praticare, al solo scopo di favorire il passaggio della penicillina attraverso la barriera ematoencefalica, con risultati sorprendenti.
L'inoculazione
del parassita malarico veniva effettuato o tramite iniezione endovenosa
di sangue prelevato da un soggetto malarico all'inizio di un accesso
febbrile, oppure utilizzando zanzare anofele allevate in appositi
laboratori. Queste zanzare, chiuse in gabbiette di tulle con armatura di
filo metallico, erano messe a contatto della cute di un soggetto
malarico. Dopo una trentina di giorni, a scopo terapeutico venivano
poste in contatto con la cute del soggetto da malarizzare. La malaria
era curata con terapia specifica dopo dieci-quindici accessi febbrili di
39/40°, dopo di che veniva bloccata con il Chinino. Solo
successivamente gli accessi febbrili e conseguenti crisi convulsive,
vennero provocati con mezzi più maneggevoli, quali sostanze proteiche e
vaccini.
Le
controindicazioni alla piretoterapia si limitavano alle gravi affezioni
cardiache, renali ed epatiche, nonché agli stati cachettici di qualsiasi
eziologia.
Claudia Giovannelli, Infermiera CSM Aprilia, USL Latina
Vedi anche:
Indice:
Epoca pre-Basaglia -Tentativi
terapeutici nella storia -L’elettoshock -La psicochirurgia -La
piretoterapia malarica -L'Ergoterapia -La contenzione -L’avvento degli
psicofarmaci -La questione etica in Psichiatria -Epoca post-Basaglia.

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