Schizofrenia ed elettroshock: il percorso che portò Cerletti e Bini ad introdurre l'elettroshock nella pratica terapeutica.
Buona lettura!
L'ipotesi sulla quale è nato l'uso
delle convulsioni come terapia della schizofrenia è il presunto
antagonismo tra queste due condizioni morbose: l’epilessia e la
schizofrenia, nonché il rilievo di una diminuzione dei sintomi
schizofrenici dopo un eccesso epilettico. In una rara forma di
epilessia, nel periodo tra le due crisi, si manifestano deliri
allucinatori e i sintomi aggressivi e distruttivi della schizofrenia
spariscono o si riducono nella fase convulsiva. Si credette, in poche
parole, che le convulsioni impedissero, proteggessero e guarissero dal
delirio, dalle allucinazioni, dalle crisi di violenza e da tutte quelle
manifestazioni tipiche della schizofrenia. L'ipotesi terapeutica della
cardiazolterapia, avanzata a Budapest da von Meduna, rappresentò per
Cerletti un incoraggiamento nel tentativo rozzo (anche se storicamente
comprensibile) di utilizzare le sperimentazioni di corrente elettrica
all'interno di un contesto scientifico maggiormente definito,
sperimentazioni che, fin dai primi del Novecento, erano state effettuate
sull'animale e sporadicamente sull'uomo. Per quest'ultimo, risulta
interessante ricordare la controversa applicazione della corrente
elettrica nelle nevrosi da guerra, effettuata già durante il primo
conflitto mondiale, che culminò nel 1920 con l'istituzione da parte del
Parlamento austriaco di una Commissione d'inchiesta sull'operato di
alcuni neuropsichiatri, tra cui lo stesso Wagner von Jauregg
(Commissione di cui venne nominato perito anche Sigmund Freud). Comunque
sia, il tentativo di Cerletti fu quello di ottenere gli stessi effetti
terapeutico-
Buona lettura!
L'ipotesi sulla quale è nato l'uso
delle convulsioni come terapia della schizofrenia è il presunto
antagonismo tra queste due condizioni morbose: l’epilessia e la
schizofrenia, nonché il rilievo di una diminuzione dei sintomi
schizofrenici dopo un eccesso epilettico. In una rara forma di
epilessia, nel periodo tra le due crisi, si manifestano deliri
allucinatori e i sintomi aggressivi e distruttivi della schizofrenia
spariscono o si riducono nella fase convulsiva. Si credette, in poche
parole, che le convulsioni impedissero, proteggessero e guarissero dal
delirio, dalle allucinazioni, dalle crisi di violenza e da tutte quelle
manifestazioni tipiche della schizofrenia. L'ipotesi terapeutica della
cardiazolterapia, avanzata a Budapest da von Meduna, rappresentò per
Cerletti un incoraggiamento nel tentativo rozzo (anche se storicamente
comprensibile) di utilizzare le sperimentazioni di corrente elettrica
all'interno di un contesto scientifico maggiormente definito,
sperimentazioni che, fin dai primi del Novecento, erano state effettuate
sull'animale e sporadicamente sull'uomo. Per quest'ultimo, risulta
interessante ricordare la controversa applicazione della corrente
elettrica nelle nevrosi da guerra, effettuata già durante il primo
conflitto mondiale, che culminò nel 1920 con l'istituzione da parte del
Parlamento austriaco di una Commissione d'inchiesta sull'operato di
alcuni neuropsichiatri, tra cui lo stesso Wagner von Jauregg
(Commissione di cui venne nominato perito anche Sigmund Freud). Comunque
sia, il tentativo di Cerletti fu quello di ottenere gli stessi effetti
terapeutico-
convulsivanti
del Cardiazolo descritti da von Meduna, che erano però associati ad una
ricca sequela di complicanze. Cerletti pensò ad un metodo alternativo
che sostituisse la stimolazione chimica con quella elettrica.
Dopo
lunghi anni di studio dell'epilessia indotta elettricamente sui cani,
l'attenzione si polarizzò sugli effetti dello stimolo fisico sul maiale;
infatti la comune corrente elettrica di strada veniva già applicata,
presso il mattatoio di Roma, mediante speciali pinze ai due lati del
capo del maiale che, a seguito di un'induzione di un accesso epilettico
di tipo tonico-clonico, andava incontro ad uno stato di stordimento che
facilitava lo sgozzamento. Cerletti e collaboratori osservarono che, se i
maiali non venivano uccisi, uscivano pian piano dallo stato di
stordimento.
Da questa
constatazione partì lo studio dell'applicazione della corrente elettrica
sull'uomo: "…i maiali non morivano…ma venivano soltanto storditi,
cadendo in un accesso epilettico, dal quale si svegliavano se non
venivano, per esigenze di macellazione, sgozzati prima del risveglio...
Si osservò che vi era una differenza notevole fra il tempo di corrente
necessario a scatenare un accesso (poche frazioni d secondo) e il tempo
di corrente (60-150 secondi) necessaria per provocare la morte
dell'animale; quindi i margini di sicurezza, per gli scopi prefissi
erano abbastanza ampi".
A
seguito di questo periodo di valutazione e ricerca delle adeguate
caratteristiche tecniche dello stimolo fisico sul maiale (modalità di
applicazione, tempo di esposizione, intensità di voltaggio ecc.),
Cerletti affidò a Lucio Bini la realizzazione pratica di
un'apparecchiatura che offrisse le necessarie garanzie per una
sperimentazione sull'uomo.
Nell'aprile
del 1938, Cerletti e Bini attuarono a Roma, presso la clinica
Universitaria neurologica, la prima applicazione elettrica sull'uomo,
dando così ufficiale comunicazione del metodo all'Accademia Medica di
Roma, denominandolo appunto elettroshock, denominazione rimasta
invariata negli anni tranne che durante il periodo fascista in cui
l'autarchia semantica impose i termini di elettro-urto o
elettro-squasso. Nello stesso anno tale pratica terapeutica si diffuse
anche in Francia, Olanda, Inghilterra e Stati Uniti d’America per mano
di Kalinowsky.
Esisteva
una "giornata dell'elettroshock"- come esisteva una "giornata
dell'insulinoterapia"- nella quale i pazienti che dovevano essere
sottoposti al trattamento venivano posizionati, dagli infermieri, l'uno
accanto all'altro, ognuno in attesa del loro turno. Col tempo la tecnica
iniziale andò incontro a progressive modifiche, volte ad ottenere
prevalentemente una diminuzione degli effetti collaterali ed un aumento
dei presunti effetti terapeutici: modificazioni delle caratteristiche
delle apparecchiature, protezione del malato anche con specifiche
posture precauzionali, uso di premedicazioni fino alla narcosi
barbiturica curarica e all'odierna anestesia. Lo scopo dell'affannosa
ricerca di Cerletti fu quello di individuare, in era prefarmacologica,
un percorso terapeutico che potesse alleviare le sofferenze della
malattia mentale. L'elettroshock ne era strumento, ma primitivo,
violento nonché privo di chiari fondamenti scientifici, come apparve ben
evidente in quanto lo stesso Cerletti scriveva nel 1948:
"Lo
dissi già fin dalla prima volta che io presentavo l'E.S., che mi
auguravo che questo metodo aggressivo, violento, venisse al più presto
abbandonato per metodi meno drastici, e sto lavorando attivamente in
questo senso: sarò il primo a rallegrarmi quando l'E.S. non verrà più
applicato."
Ed ancora, in occasione del Primo Congresso Internazionale di Psichiatria a Parigi, nel 1950:
"Questo
non impedisce che malgrado tutte queste difficoltà, noi lavoriamo
continuamente nella speranza di potervi dire un giorno: Signori,
l'Elettroshock non si fa più. Noi abbiamo trovato le sostanze che si
producono nel cervello a seguito dell'accesso epilettico e noi possiamo
impiegarle nel trattamento di differenti malattie così semplicemente
come si fa con altre sostanze farmacologiche".
Tra
le varie conseguenze di questa “terapia”, oramai riconosciute da molti
medici, furono riscontrati chiari danni irreversibili: perdita della
memoria, danni cerebrali, difficoltà di apprendimento, difficoltà di
orientamento temporo-spaziale. Le cellule nervose si disgregarono in
grande quantità. Frequenti fratture ossee alla colonna vertebrale,
arresti cardiaci, soffocamento da vomito, danni a carico dei tessuti.
Certo, si cercò di ridurre questi fenomeni concomitanti attraverso la
narcotizzazione e la combinazione con psicofarmaci, ma i danni fisici a
volte furono fatali.
Nonostante
la mancanza di adeguati e rigorosi studi scientifici, l'utilizzo
dell'elettroshock fu ed è generalizzato e allargato alla quasi totalità
dei disturbi psichiatrici: in particolare viene utilizzato in pazienti
gravemente depressi, quando altre forme di terapia, come gli
psicofarmaci o la psicoterapia, non sono efficaci e indicati come in
casi di emergenza quando, ad esempio, vi è un elevato rischio di
suicidio; pazienti che soffrono delle principali forme di mania (un
disturbo dell'umore associato a comportamento iperattivo, irrazionale e
distruttivo), alcune forme di schizofrenia, e qualche altro disturbo
mentale e neurologico. L'elettroshock e' usato anche nel trattamento dei
disturbi mentali nei pazienti anziani, le cui condizioni di salute
possono sconsigliare un trattamento farmacologico.
Claudia Giovannelli, Infermiera presso il CSM di Aprilia, USL di Latina
vedi anche:
Indice:
Epoca pre-Basaglia -Tentativi
terapeutici nella storia -L’elettoshock -La psicochirurgia -La
piretoterapia malarica -L'Ergoterapia -La contenzione -L’avvento degli
psicofarmaci -La questione etica in Psichiatria -Epoca post-Basaglia.
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