lunedì 21 aprile 2014

STORIA DELL'ASSISTENZA PSICHIATRICA: L'elettroshock

Schizofrenia ed elettroshock: il percorso che portò Cerletti e Bini ad introdurre l'elettroshock nella pratica terapeutica.
Buona lettura!

L'ipotesi sulla quale è nato l'uso delle convulsioni come terapia della schizofrenia è il presunto antagonismo tra queste due condizioni morbose: l’epilessia e la schizofrenia, nonché il rilievo di una diminuzione dei sintomi schizofrenici dopo un eccesso epilettico. In una rara forma di epilessia, nel periodo tra le due crisi, si manifestano deliri allucinatori e i sintomi aggressivi e distruttivi della schizofrenia spariscono o si riducono nella fase convulsiva. Si credette, in poche parole, che le convulsioni impedissero, proteggessero e guarissero dal delirio, dalle allucinazioni, dalle crisi di violenza e da tutte quelle manifestazioni tipiche della schizofrenia. L'ipotesi terapeutica della cardiazolterapia, avanzata a Budapest da von Meduna, rappresentò per Cerletti un incoraggiamento nel tentativo rozzo (anche se storicamente comprensibile) di utilizzare le sperimentazioni di corrente elettrica all'interno di un contesto scientifico maggiormente definito, sperimentazioni che, fin dai primi del Novecento, erano state effettuate sull'animale e sporadicamente sull'uomo. Per quest'ultimo, risulta interessante ricordare la controversa applicazione della corrente elettrica nelle nevrosi da guerra, effettuata già durante il primo conflitto mondiale, che culminò nel 1920 con l'istituzione da parte del Parlamento austriaco di una Commissione d'inchiesta sull'operato di alcuni neuropsichiatri, tra cui lo stesso Wagner von Jauregg (Commissione di cui venne nominato perito anche Sigmund Freud). Comunque sia, il tentativo di Cerletti fu quello di ottenere gli stessi effetti terapeutico-
convulsivanti del Cardiazolo descritti da von Meduna, che erano però associati ad una ricca sequela di complicanze. Cerletti pensò ad un metodo alternativo che sostituisse la stimolazione chimica con quella elettrica.
Dopo lunghi anni di studio dell'epilessia indotta elettricamente sui cani, l'attenzione si polarizzò sugli effetti dello stimolo fisico sul maiale; infatti la comune corrente elettrica di strada veniva già applicata, presso il mattatoio di Roma, mediante speciali pinze ai due lati del capo del maiale che, a seguito di un'induzione di un accesso epilettico di tipo tonico-clonico, andava incontro ad uno stato di stordimento che facilitava lo sgozzamento. Cerletti e collaboratori osservarono che, se i maiali non venivano uccisi, uscivano pian piano dallo stato di stordimento.
Da questa constatazione partì lo studio dell'applicazione della corrente elettrica sull'uomo: "…i maiali non morivano…ma venivano soltanto storditi, cadendo in un accesso epilettico, dal quale si svegliavano se non venivano, per esigenze di macellazione, sgozzati prima del risveglio... Si osservò che vi era una differenza notevole fra il tempo di corrente necessario a scatenare un accesso (poche frazioni d secondo) e il tempo di corrente (60-150 secondi) necessaria per provocare la morte dell'animale; quindi i margini di sicurezza, per gli scopi prefissi erano abbastanza ampi".
A seguito di questo periodo di valutazione e ricerca delle adeguate caratteristiche tecniche dello stimolo fisico sul maiale (modalità di applicazione, tempo di esposizione, intensità di voltaggio ecc.), Cerletti affidò a Lucio Bini la realizzazione pratica di un'apparecchiatura che offrisse le necessarie garanzie per una sperimentazione sull'uomo.
Nell'aprile del 1938, Cerletti e Bini attuarono a Roma, presso la clinica Universitaria neurologica, la prima applicazione elettrica sull'uomo, dando così ufficiale comunicazione del metodo all'Accademia Medica di Roma, denominandolo appunto elettroshock, denominazione rimasta invariata negli anni tranne che durante il periodo fascista in cui l'autarchia semantica impose i termini di elettro-urto o elettro-squasso. Nello stesso anno tale pratica terapeutica si diffuse anche in Francia, Olanda, Inghilterra e Stati Uniti d’America per mano di Kalinowsky.
Esisteva una "giornata dell'elettroshock"- come esisteva una "giornata dell'insulinoterapia"- nella quale i pazienti che dovevano essere sottoposti al trattamento venivano posizionati, dagli infermieri, l'uno accanto all'altro, ognuno in attesa del loro turno. Col tempo la tecnica iniziale andò incontro a progressive modifiche, volte ad ottenere prevalentemente una diminuzione degli effetti collaterali ed un aumento dei presunti effetti terapeutici: modificazioni delle caratteristiche delle apparecchiature, protezione del malato anche con specifiche posture precauzionali, uso di premedicazioni fino alla narcosi barbiturica curarica e all'odierna anestesia. Lo scopo dell'affannosa ricerca di Cerletti fu quello di individuare, in era prefarmacologica, un percorso terapeutico che potesse alleviare le sofferenze della malattia mentale. L'elettroshock ne era strumento, ma primitivo, violento nonché privo di chiari fondamenti scientifici, come apparve ben evidente in quanto lo stesso Cerletti scriveva nel 1948:
"Lo dissi già fin dalla prima volta che io presentavo l'E.S., che mi auguravo che questo metodo aggressivo, violento, venisse al più presto abbandonato per metodi meno drastici, e sto lavorando attivamente in questo senso: sarò il primo a rallegrarmi quando l'E.S. non verrà più applicato."
Ed ancora, in occasione del Primo Congresso Internazionale di Psichiatria a Parigi, nel 1950:
"Questo non impedisce che malgrado tutte queste difficoltà, noi lavoriamo continuamente nella speranza di potervi dire un giorno: Signori, l'Elettroshock non si fa più. Noi abbiamo trovato le sostanze che si producono nel cervello a seguito dell'accesso epilettico e noi possiamo impiegarle nel trattamento di differenti malattie così semplicemente come si fa con altre sostanze farmacologiche".
Tra le varie conseguenze di questa “terapia”, oramai riconosciute da molti medici, furono riscontrati chiari danni irreversibili: perdita della memoria, danni cerebrali, difficoltà di apprendimento, difficoltà di orientamento temporo-spaziale. Le cellule nervose si disgregarono in grande quantità. Frequenti fratture ossee alla colonna vertebrale, arresti cardiaci, soffocamento da vomito, danni a carico dei tessuti. Certo, si cercò di ridurre questi fenomeni concomitanti attraverso la narcotizzazione e la combinazione con psicofarmaci, ma i danni fisici a volte furono fatali.
Nonostante la mancanza di adeguati e rigorosi studi scientifici, l'utilizzo dell'elettroshock fu ed è generalizzato e allargato alla quasi totalità dei disturbi psichiatrici: in particolare viene utilizzato in pazienti gravemente depressi, quando altre forme di terapia, come gli psicofarmaci o la psicoterapia, non sono efficaci e indicati come in casi di emergenza quando, ad esempio, vi è un elevato rischio di suicidio; pazienti che soffrono delle principali forme di mania (un disturbo dell'umore associato a comportamento iperattivo, irrazionale e distruttivo), alcune forme di schizofrenia, e qualche altro disturbo mentale e neurologico. L'elettroshock e' usato anche nel trattamento dei disturbi mentali nei pazienti anziani, le cui condizioni di salute possono sconsigliare un trattamento farmacologico.

Claudia Giovannelli, Infermiera presso il CSM di Aprilia, USL di Latina

vedi anche:

Indice:
Epoca pre-Basaglia -Tentativi terapeutici nella storia -L’elettoshock -La psicochirurgia -La piretoterapia malarica -L'Ergoterapia -La contenzione -L’avvento degli psicofarmaci -La questione etica in Psichiatria -Epoca post-Basaglia.

Nessun commento:

Posta un commento